di
Mauro Manassero – Avvocato in Torino
L’esercizio
dell’attività commerciale di produzione e somministrazione di
alimenti al pubblico in unità site al piano terreno di un edificio
in Condominio necessita dell’adozione di sistemi di smaltimento dei
fumi e degli odori prodotti dalle cucine che si pongono in apparente
conflitto con il diritto del Condominio medesimo, per quanto concerne
le parti comuni, e dei suoi partecipanti, con riferimento sia ai
diritti di ciascuno sulle parti comuni e sia ai diritti afferenti
alle parti private. L’analisi della giurisprudenza, sia di merito che
di legittimità e sia civile che amministrativa, consente di
individuare le norme di riferimento per il corretto e legittimo
esercizio del diritto di apporre il dotto fumario in aderenza alla
facciata comune condominiale e chiarisce, inoltre, entro quali limiti
detta attività può essere esercitata pur nella tutela dei diritti
concorrenti.
Introduzione
Capita
spesso che soggetti che hanno in animo di intraprendere l’esercizio
commerciale della somministrazione di bevande ed alimenti, succedendo
a precedenti esercenti o iniziando una nuova attività, non dedichino
sufficiente attenzione al sistema di smaltimento dei fumi e degli
odori prodotti da tali attività.
Tuttavia,
siffatto aspetto costituisce elemento essenziale per l’esercizio
dell’attività di ristorazione, giacché il rilascio della
autorizzazione sanitaria necessaria allo scopo presuppone, tra i vari
requisiti, la presenza di un sistema di smaltimento idoneo e conforme
alla normativa vigente.
A far data
dalla metà degli anni 90, vari Comuni hanno imposto l’adozione di
sistemi di smaltimento a canna fumaria, con sostituzione dei
precedenti impianti filtranti a carboni attivi, ogni qualvolta si era
in presenza di segnalazioni provenienti da soggetti che lamentavano,
in danno di un determinato ristorante, la presenza di odori
sgradevoli provenienti dall’attività di cucina .
Da allora,
è sufficiente che un condomino manifesti le proprie doglianze per la
presenza di esalazioni derivanti dall’attività di produzione del
ristorante sottostante, perché l’Ufficio Igiene ed Alimenti invii
gli ispettori che, accertata la presenza di sistemi diversi da quello
a cappa aspirante filtrata collegata con canna fumaria, redigono la
propria relazione acclarante la presenza del vetusto sistema a
carboni attivi; siffatta relazione precede di pochi giorni la
notificazione dell’ordinanza di esecuzione, entro 90 gg., delle
opere di sostituzione dell’impianto obsoleto, pena la revoca
dell’autorizzazione sanitaria e, quindi, la sospensione
dell’attività commerciale.
Ciò ha
comportato la nascita di plurimi contrasti, tra i ristoratori
destinatari dei provvedimenti sindacali e coloro che invece
dall’adozione di tali sistemi di smaltimento ricevono fastidio se
non addirittura danno.
Ovviamente,
i contrasti sono sorti soprattutto in sede condominiale e in molti
casi l’argomento è stato strumentalizzato quale “escamotage”
per cercare di ottenere la cessazione delle attività di
ristorazione.
L’argomento
è molto ampio perché comprende l’analisi delle norme del codice
civile che consentono in ambito condominale l’apposizione della
canna fumaria privata in aderenza alla facciata condominiale,
l’identificazione dei limiti all’esercizio di siffatto diritto,
le modalità pratiche e processuali di difesa di fronte
all’opposizione del condominio e dei singoli condomini, il
comportamento della p.a., e la giurisprudenza amministrativa
sull’argomento.
L’analisi
delle norme
La norma
nella quale trova fondamento la realizzazione di tali opere, è
l’art. 1102 del codice civile, che consente a ciascun condomino di
trarre dal bene comune condominiale, nel nostro caso la facciata, la
massima utilità a vantaggio della propria singola unità
immobiliare, pur nel rispetto dei limiti imposti dalla stessa norma.
In
primissimo luogo, giacché l’esperienza giurisprudenziale ha
insegnato che sovente gli enti di gestione erroneamente ricorrono a
tali principi per sostenere l’illegittimità dell’opera, occorre
chiarire che l’argomento in esame concerne la norma dell’art.
1102 cod. civ., e non la separata e diversa previsione normativa di
cui all’art. 1120 cod. civ., che disciplina invece la materia delle
innovazioni in ambito condominiale.
Infatti,
quest’ultima riguarda le modificazioni alla cosa comune eseguite a
cura e spese del condominio, quale ente di gestione, e non del
singolo condomino, e tali “innovazioni” sono destinate a
migliorare o a rendere più comodo l’uso di un bene comune
nell’interesse di tutti i compartecipanti e non di un solo
condomino come nell’ipotesi oggetto della presente analisi.
È infatti
di tutta evidenza la ratio delle norme in esame e la loro
complementarietà:
– ove si
discuta di un intervento che un condomino abbia in animo di eseguire
su un bene comune ad esclusivo vantaggio ed utilità della propria
unità immobiliare, non sarà necessaria alcuna autorizzazione
assembleare, purché siffatto intervento non abbia a superare i
limiti posti dalla norma medesima a tutela dei diritti dei
concorrenti;
– qualora
invece l’intervento modificativo della cosa comune sia destinato ad
attribuire a tutti i condomini un miglior godimento del bene comune,
o una sua superiore utilità, sarà necessaria l’adozione della
delibera assembleare che disponga sia l’esecuzione dell’opera,
sia l’addebito dei relativi costi a ciascun condomino in
proporzione alle rispettive quote di proprietà espresse in
millesimi.
Tornando
alla norma che ci interessa, cioè l’art. 1102 cod. civ., dal
tenore letterale della disposizione emerge che il singolo
partecipante può apportare al bene comune tutte le modificazioni
necessarie allo scopo che si prefigge, purché queste non impediscano
agli altri di farne il pari uso concorrente e ciò nel rispetto della
destinazione d’uso senza necessità di preventiva autorizzazione
assembleare1.
Ovviamente,
il bene comune sul quale si esplica l’attività di edificazione del
condotto fumario per l’espulsione coatta dei fumi deve essere
identificato con la facciata comune condominiale e, segnatamente,
quella retrostante, o secondaria, o prospiciente la corte comune.
Infatti, la
facciata principale, o lato strada, è insuscettibile di interventi
che, alterando l’armonia architettonica e l’aspetto estetico
dell’edificio, intesi come insieme di linee verticali ed
orizzontali e spazi pieni e vuoti che afferiscono un determinato
aspetto e decoro allo stabile, potrebbero avere un riflesso negativo
sul valore intrinseco di scambio delle unità immobiliari, con ciò
rivelandosi illecitamente dannosi pergli altri condomini2.
Identificata
la facciata destinataria del tracciato del condotto fumario, occorre
ancora precisare che non deve trattarsi di una architettura a
ballatoi continui, ovviamente perché il transito della canna fumaria
attraverso le solette dei balconi a ballatoio privato conduce a
tutt’altra serie di problemi che esulano dagli argomenti trattati
in questa sede3.
L’art.
1102 cod. civ.
La
realizzazione dell’opera comporta il rispetto di due ordini di
limiti che derivano dalla coesistenza, sul medesimo bene comune, di
due diversi ordini di diritti:
– quelli
riferibili ai condomini in ordine al bene comune sul quale è
realizzata l’edificazione, che sono fissati dall’art. 1102;
– e quelli
riferibili ad ogni singolo condomino in relazione alla propria unità
immobiliare esclusiva, che invece sono sanciti dalle norme che
regolano i rapporti di vicinato, distanze, etc.
In ordine
ai diritti afferenti al bene comune occorre in primo luogo ricordare
che i limiti posti dall’art. 1102, comma 1 sono:
– rispetto
della destinazione naturale del bene
– rispetto
dell’uso concorrente.
Il primo
limite, identificato con la destinazione del bene, è dettato dalla
somma delle funzioni alle quali il bene è naturalmente destinato.
La
destinazione naturale della facciata condominiale è, secondo la più
ampia giurisprudenza, quella di sorreggere il fabbricato, consentire
l’apertura di porte e finestre, proteggere le unità abitative
dagli agenti atmosferici ma, a fianco di tali utilità, sono state
identificate ulteriori funzioni accessorie inerenti il suo ruolo
quale parte essenziale della struttura del fabbricato che, quindi,
sono quelle di consentire l’appoggio di vetrine, targhe, insegne,
cavi e fili, tubazioni, camini e canne fumarie4.
Ulteriore
problema concerne l’argomento relativo al concetto di “uso della
cosa comune” con riferimento all’ipotesi che l’apposizione
della canna fumaria possa considerarsi idoneo ad esaurire la
possibilità di utilizzo della parte di facciata destinata a siffatta
apposizione.
La
giurisprudenza di legittimità è pervenuta alla conclusione per la
quale, nella considerazione del pari uso concorrente, si debba
primariamente aver cura di accertarsi che sia
ragionevolmente prevedibile che gli altri condomini non faranno un
“pari uso” del medesimo bene; cosicché, posto che le abitazioni
private sovrastanti il locale commerciale sito al piano terreno dello
stabile non avranno mai la necessità di esser dotate di condotti per
lo smaltimento coatto di fumi, ne deriva che l’ipotesi che altri
condomini necessitino di godere del pari uso così identificato sia
del tutto remota se non addirittura impossibile.
Oltre
a ciò, il concetto di uso di bene comune nell’interesse e a
vantaggio della singola unità esclusiva postula il principio per il
quale siffatto uso può essere espanso fino al limite dei diritti
concorrenti e, coerentemente, consente di pervenire alla successiva
conclusione per la quale è ammissibile che un determinato condomino
goda di un uso “più intenso” di quello che i condomini
concorrenti possono a loro volta godere, purché tale uso più
intenso non si riveli in danno degli altri5.
Tornando,
quindi, all’analisi dell’art. 1102 cod. civ., e terminata
l’esegesi del primo comma, si passa ora al secondo, che stabilisce
che: “Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa
comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a
mutare il titolo del suo possesso”.
Ne consegue
che l’utilizzo del bene comune conformemente al diritto in
questione non implica l’esercizio di un possesso idoneo ai fini
dell’usucapione non potendosi tradurre il mero uso in possesso uti
dominus.
Infatti,
l’apposizione della canna fumaria, in quanto rientrante nell’alveo
delle legittime utilità del bene comune gravato, non è idonea a
integrare in capo all’agente un possesso avente le caratteristiche
idonee a determinare l’usucapione della parte di muro comune
interessata6.
Le
distanze legali
Verificato
il rispetto delle condizioni stabilite dall’art. 1102 cod. civ., si
passa all’argomento centrale relativo al regime delle distanze
legali.
L’utilizzo
della facciata comune condominiale richiede per la sua legittimità
il rispetto di un duplice regime di distanze, che altro non è che
una ulteriore manifestazione della duplice natura dei rapporti
condominiali, che concernono diritti esistenti sulle parti private e
diritti invece esistenti sulle parti comuni e, come tali, condivisi
da tutti i condomini.
In
particolare, il tracciato della canna fumaria deve rispettare sia il
regime delle distanze dai beni comuni condominiali, sia quello
riferito invece alle distanze dalle singole proprietà esclusive.
Apparentemente
non dovrebbe esserci differenza, poiché le norme sulle distanze non
distinguono a seconda che il bene, rispetto al quale la distanza
debba essere rispettata, appartenga ad un solo proprietario o a più
proprietari e quindi sia un bene comune pro quota e pro
indiviso.
In realtà,
il differente trattamento destinato alle due diverse condizioni dei
beni (comuni od esclusivi) rispetto ai quali le distanze debbono
esser rispettate è frutto dell’elaborazione giurisprudenziale che,
nei confronti dei primi, ha attenuato l’efficacia delle norme sulle
distanze a fronte della maggior rilevanza del diritto all’utilizzo
del bene comune.
I beni di
proprietà privata esclusiva rispetto ai quali è necessario
rispettare le ordinarie distanze sono, ovviamente, le finestre ed i
balconi dei singoli appartamenti che sovrastano l’unità a servizio
della quale il condotto fumario dovrà essere installato; mentre
quelli comuni saranno (soprattutto) le finestre e le luci a servizio
delle scale comuni condominiali.
L’argomento
è stato trattato nella fondamentale sentenza della Corte di
cassazione n. 724/19957
che ha fissato i principi cardine nella importantissima materia.
Siffatta
pronuncia contiene, nella parte motiva, due dogmi di fondamentale
rilevanza nella materia qui trattata che riguardano:
– la
distanza che dovrà esser rispettata nei confronti delle finestre e
dei balconi privati posti sulla medesima facciata sulla quale sarà
apposta la canna fumaria;
– la
distanza che dovrà essere rispettata nei confronti delle finestre
comuni condominiali.
Pertanto,
atteso che il fondo sul quale è esercitata la veduta è la facciata,
e con l’affaccio dalle finestre private si potrà dare corso
solamente ad una visione obliqua, ma non ad una visione diretta,
allora non troverà applicazione la norma di cui all’art. 907 cod.
civ.8
ma in luogo della
misura prevista nella norma testé richiamata, dovrà osservarsi
verso le parti in esclusiva proprietà la distanza minima prevista
per l’apertura di vedute laterali ed oblique di cui all’art. 906
cod. civ.9
e, quindi, cm.75.
Legittimamente
ci si chiederà, quindi, da quale punto la distanza dovrà essere
misurata; per quanto concerne le finestre dovrà aversi cura di
procedere alla misurazione dalla spalletta di contorno della finestra
e fino al bordo esterno del condotto fumario; mentre per i balconi si
dovrà procedere alle misurazioni a partire dall’ultimo sporto del
balcone che deve essere identificato con il lato esterno della
soletta, o del “marmetto” che delimita la pavimentazione e che
normalmente si inserisce lateralmente nella facciata.
Per quanto
concerne il regime delle distanze tra il condotto fumario e le
finestre comuni condominiali, la S.C. ha, invece, fissato una
importante deroga dovuta alla prevalenza del diritto del singolo
all’uso più intenso del bene comune sulle norme relative alle
distanze10.
Occorrerà,
tuttavia, avere cura di non ostacolare o limitare il normale utilizzo
delle finestre in questione e, quindi, il condotto dovrà essere
posizionato in guisa da non limitare l’accesso di luce ed aria (e,
quindi, la canna fumaria non potrà essere installata davanti alla
luce della finestra, bensì a fianco della medesima); e parimenti si
dovrà consentire la completa apertura dei battenti ove essi avessero
l’apertura a libro verso l’esterno.
Aspetti
pratici
Sotto
l’aspetto pratico, è importante rilevare che è sufficiente che un
condomino lamenti odori sgradevoli provenienti da attività di
ristorazione posta al piano terreno dell’edificio in Condominio
affinché l’ente territoriale, a mezzo dell’Ufficio Igiene ed
Alimenti, invii i propri ispettori che, accertata l’esistenza di un
sistema di smaltimento a carboni attivi, provvedano a segnalare lo
stato di fatto e, conseguentemente, il Comune emetta l’ordinanza
che concede 90 gg. per la sostituzione del sistema a carboni attivi
con quello a canna aspirante filtrata collegata con il condotto
fumario.
Il soggetto
legittimato ad esercitare il diritto che sopra abbiamo identificato,
è solamente il proprietario dell’unità immobiliare entro la quale
sarà, o è, esercitata l’attività di somministrazione.
Il
conduttore non appare legittimato attivamente, perché in linea di
massima è difficile ricondurre la fattispecie in esame nell’alveo
delle “molestie” previste dalle norme di cui agli artt. 1585 e
1586 cod. civ.; quindi, nel caso in cui il ristoratore sia conduttore
sarà meglio coinvolgere il titolare del diritto di proprietà.
Sarà
utile, pertanto, predisporre una scrittura privata di duplice e
reciproco contenuto da sottoporre alla sottoscrizione dei due
soggetti:
– da un
lato dovrà prevedersi l’impegno del locatore a sottoscrivere ogni
documento e a svolgere ogni attività richiesta per l’installazione
della canna fumaria, e quindi anche l’impugnare in proprio nome
l’eventuale delibera condominiale di diniego;
–
dall’altro, l’impegno del conduttore a tenere indenne il locatore
da ogni conseguenza, soprattutto economica, che dalle attività e
dall’impugnazione dovesse derivare.
Premesso
l’accordo privato tra il conduttore e la proprietà, il primo atto
formale da porre in essere sarà quindi la presentazione della DIA o
SCIA presso l’Ufficio Tecnico del Comune territorialmente
competente.
A tal
proposito, assume centrale rilevanza la circostanza per la quale non
v’è uniformità tra le allegazioni che i diversi comuni chiedono
nei propri moduli SCIA/DIA.
Ad esempio:
Il Comune
di Torino chiede che siano versati in atti l’assenso
condominiale/consenso degli altri condomini reso ai sensi di legge
(?) ma, come abbiamo già visto, l’art. 1102 cod. civ. non chiede
l’assenso degli altri condomini o l’autorizzazione assembleare e,
neppure v’è Legge che ne presupponga l’esistenza per l’esercizio
del diritto in questione.
Il Comune
di Milano è senz’altro l’ente territoriale più attento e, nel
proprio modulo SCIA differenzia le situazioni a seconda che si tratti
di intervento ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. o 1120 cod. civ.,
pretendendo, in questa sola ipotesi che sia allegata agli atti la
delibera autorizzativa prevista dalla norma ivi richiamata.
Il Comune
di Cuneo chiede che il progetto sia stato approvato dall’assemblea,
ma non se ne comprende la ragione.
I Comuni di
Asti e di Alessandria pare non chiedano alcuna allegazione specifica.
Risulta,
comunque, che nessun ente territoriale chieda quella che potrebbe
eventualmente essere la formula più opportuna ed appropriata, cioè
quella del “nulla osta” dell’amministratore dello stabile:
infatti, motivi altri e diversi potrebbero risultare ostativi,
quantomeno per via temporale, all’esecuzione delle opere (ad
esempio, la coesistenza di diversi cantieri in situ – quale il
rifacimento della facciata o del manto di copertura – potrebbe
risultare conflittuale con l’esecuzione delle opere in questione);
quindi, appare consigliabile munirsi del parere dell’amministratore
dell’edificio che, per soli motivi di fatto, acclari l’assenza di
ostacoli all’esecuzione.
Ad ogni
buon conto, nella giurisprudenza amministrativa vi sono contrasti
proprio in ordine alla sussistenza del potere in capo
all’amministrazione di chiedere il consenso degli altri condomini,
con ciò inserendosi, d’autorità ed in difetto di una specifica
previsione normativa, nei rapporti privatistici.
Infatti,
alcuni Giudici amministrativi hanno ricompreso la necessità
dell’assenso nella disposizione del previgente art. 4 della legge
n. 10/1977, ed attuale art. 11 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U.
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
edilizia), mentre altri hanno reputato che ciò costituisse indebita
ed illegittima interferenza nei rapporti di diritto privato, anche
atteso che le autorizzazioni amministrative nella materia edile sono
sempre rese “fatti salvi i diritti dei terzi”11.
Se però
vorremo evitare qualsivoglia ostacolo, che potrebbe condurci infine a
dover ricorrere al TAR, chiederemo il prefato nulla osta
all’amministratore del condominio che, essendo chiamato a
pronunciarsi su di un bene non al medesimo appartenente, provvederà
a chiedere all’assemblea del condominio d’essere autorizzato a
concedere siffatto nulla-osta.
A questo
punto, sarà opportuno che il condomino chieda al medesimo
amministratore, facendosi carico delle relative spese, che sia
indetta un’assemblea avente ad oggetto la sua richiesta di nulla
osta, allegando a tale richiesta, da inviarsi per raccomandata a.r.,
il progetto d’edificazione, la dichiarazione della ditta della
quale s’è detto più sopra, ed i rilievi fotografici; ancor meglio
se il progetto, come d’uso oggi, sarà reso mediante elaborazioni
informatiche che disegnano la canna fumaria sulla facciata
esattamente come essa sarà edificata.
Potrà
accadere che l’assemblea del condominio neghi l’autorizzazione,
senza neppure motivare il proprio diniego, ma assai spesso fondandolo
sull’art. 1120 cod. civ. che, come già visto in precedenza, non ha
alcuna attinenza con l’opera.
Non resterà
altro da fare, quindi, che procedere con l’impugnazione della
relativa delibera , trattandosi, comunque e per precisione, di un
caso di nullità perché nega in radice l’esistenza del diritto del
condomino che invece è sancito dall’art. 1102 cod. civ.
Si segnala,
infine, che la sospensione cautelare dell’efficacia della delibera
non è implicita nell’impugnazione, ai sensi del comma 2 dell’art.
1137 cod. civ. ma potrà essere ottenuta proprio in considerazione
dei ristretti tempi concessi dal Comune per eseguire i lavori con
ricorso d’urgenza.
Infatti, se
si sarà in presenza di un’ordinanza che obbliga all’adozione
della canna fumaria entro il termine di gg. 90, pena la revoca
dell’autorizzazione sanitaria all’esercizio dell’attività
commerciale, sussisteranno i presupposti del periculum in mora e
del fumus boni juris, con possibilità quindi di procedere
alla immediata sospensione della delibera tramite ricorso d’urgenza
ex art. 669-bis ss. cod. proc. civ.
L’ordinanza
cautelare sospensiva dell’efficacia della delibera ostativa, potrà
essere prodotta all’Ufficio Tecnico comunale in luogo dell’assenso
dei condomini, o del nulla-osta, e di qualsivoglia parere del
condominio che l’Amministrazione pubblica avrà chiesto,
dimostrando altresì all’Ufficio Tecnico dell’ente territoriale
che l’edificazione è realizzata nell’ambito delle facoltà
consentite al singolo condomino dall’art. 1102 cod. civ.
Nella
successiva fase del merito, prevista dall’art. 669-octies
cod. proc. civ., si potrà così ottenere una sentenza definitiva che
acclarerà la nullità della delibera condominiale negatoria
dell’esistenza del diritto12.
Occorre
peraltro far notare come tali pronunce si riferiscano a periodo
anteriore alla recente riforma del condominio con la quale è stata
definitivamente generalizzata l’impugnazione delle delibere
assembleari condominiali tramite atto di citazione e non già tramite
ricorso, seppure d’urgenza.
La
richiesta di sospensiva potrà comunque ben essere avanzata
immediatamente dopo la notifica dell’atto di citazione e
l’iscrizione a ruolo della causa, tramite idoneo ricorso al Giudice
nel frattempo nominato, che fisserà udienza anticipata, rispetto
alla prima udienza, ai soli fini della discussione della sospensiva.
1
Cfr. Trib. Potenza 1° febbraio 2008.
2
Sull’argomento si segnalano Cass. 16 maggio
2000, n. 6341; Cass. 15 aprile 2002, n. 5417; Cass. 22 gennaio 2004,
n. 1025; Trib. Roma, sez. V, 23 marzo 2011.
3
Si segnala tuttavia la pronuncia Cass. 22
gennaio 2004, n. 1015, che affronta anche il correlato problema
relativo all’inserimento del condotto fumario nel preesistente ed
obsoleto cavedio utilizzato per lo smaltimento dei rifiuti
domestici.
4
A tal proposito, si segnala Cass. civ. n.
6341/00, in Rass. loc., 2001, 132 con nota di De Tilla.
5
V. in tal senso: Cass., sez. II, 12
febbraio 1998, n. 1499.
6
Cass. 12 febbraio 1998, n. 1499. Cass., sez. II,
20 settembre 2007, n. 19478.
7
Cass., sez. II, 23 gennaio 1995, n. 724. Dal
necessario collegamento del comma 2 con il comma 1 dell’art. 907
cod. civ., a norma del quale è obbligatorio mantenere la distanza
di tre metri anche dalla finestra da cui si esercita veduta obliqua
quando da questa finestra si eserciti anche veduta diretta sullo
stesso fondo, deriva che quando la veduta sia soltanto obliqua, il
proprietario del fondo sul quale la veduta medesima si esercita non
deve rispettare la distanza di tre metri ma solo quella di
settantacinque centimetri dal più vicino lato della finestra
medesima, ai sensi dell’art. 906 cod. civ.
Le
norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte
a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono
applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo
condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano
compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative
all’uso delle cose comuni (art. 1102 cod. civ.), cioè nel caso in
cui l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le
prime e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel
caso di contrasto, prevalgono le norme relative all’uso delle cose
comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative
alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti
tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto
di subordinazione rispetto alle prime (nella specie, si trattava
della installazione, in appoggio al muro condominiale, ed in
prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria
della centrale termica condominiale).
8
Art. 907. Distanza delle costruzioni dalle
vedute. Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette
verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare
a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’articolo 905.
Se
la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre
metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta
obliqua si esercita.
Se
si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le
dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre
metri sotto la loro soglia.
9
Art. 906. Distanza per l’apertura di vedute
laterali od oblique. Non
si possono aprire vedute laterali od oblique sul fondo del vicino se
non si osserva la distanza di settantacinque centimetri, la quale
deve misurarsi dal più vicino lato della finestra o dal più vicino
sporto.
10
V. in tal senso la recentissima sentenza 3 marzo
2014, n. 4936 della S.C., che ha stabilito la legittimità
dell’apposizione di una canna fumaria in aderenza al muro
perimetrale ed a ridosso del terrazzo a livello di proprietà di un
condomino.
11
Si segnala in proposito l’importantissima
pronuncia del Cons. Stato 23 giugno 1997 n. 699; Oltre a Cons.
Stato, sez. V, 3 gennaio 2006, n. 11, Cons. Stato, sez. V, 27
settembre 2004, n. 6297, Cons. Stato, sez. V, 9 novembre 1998, n.
1583.
12
V. in tal senso Trib. Torino: proc. urgenza
466/C/2000 – sentenza 3999/01; proc. urgenza 72/1999 – sentenza
8203/99; App. Torino sentenza n. 941/2000.