Il giudizio di verificazione.

Brevi note circa il Giudizio di verificazione per l’evento formativo della Camera Civile del Piemonte e della Valle d’Aosta del 21.09.2021 dal titolo:

LA PERIZIA GRAFOLOGICA ED IL GIUDIZIO DI VERIFICAZIONE”.

(Avv. Mauro Manassero)

La disciplina processuale del giudizio di verificazione è trattata nel nostro codice di rito nei pochi articoli compresi tra il 216 ed il 220.

Prima di affrontare i temi che disciplinano il procedimento, è tuttavia necessario analizzare brevemente le norme contenute negli articoli 214 e 215 c.p.c., che trattano del disconoscimento e del riconoscimento tacito della scrittura privata.

In primo luogo, il giudizio di verificazione è normalmente un sub-procedimento o procedimento incidentale che si inserisce nell’ambito di un giudizio civile principale ed è volto ad accertare l’originalità della sottoscrizione a seguito della sua formale negazione da parte di colui contro il quale essa sia stata prodotta e che, secondo le prospettazioni della controparte, ne è l’autore.

Tale disconoscimento è espressamente previsto dall’art. 214 c.p.c.

Al contrario, ai sensi dell’art. 215, la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta:

– quando la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione.

– oppure quando la parte, alla quale la scrittura è attribuita o contro la quale è prodotta, è contumace, salva la disposizione dell’articolo 293 terzo comma;

in verità, l’ordine delle preclusioni relative al disconoscimento è previsto nella norma in senso inverso rispetto a quello sopra esposto, ma l’opportunità di tale inversione discende dal fatto che, a differenza di quella della parte costituita, la posizione del convenuto contumace richiede una breve osservazione.

Infatti, a corollario della norma di cui al 215 n. 1) c.p.c., vi è l’eccezione prevista dal terzo comma dell’art. 293 c.p.c. che si verifica quando il contumace si costituisca tardivamente; in tal caso, egli può disconoscere le scritture prodotte contro di lui nella prima udienza o nel termine assegnatogli dal giudice istruttore; oltre a ciò, qualora la parte sia stata contumace in primo grado avrà la possibilità di disconoscere la scrittura privata contro di lui prodotta nell’atto di appello.

Sul tema, è anche importante analizzare l’art. 292 c.p.c., poiché questo non prevede, tra gli atti che devono essere notificati personalmente al contumace, il verbale in cui si dia atto della produzione della scrittura privata contro il contumace stesso.

Sono stati, dunque, necessari due interventi della Corte costituzionale che hanno sancito l’incostituzionalità del primo comma dell’art. 292 del c.p.c. nella parte in cui non prevede la notificazione al contumace del verbale in cui si dia atto della produzione in giudizio della scrittura privata che non sia stata indicata negli atti notificatigli in precedenza (sentenze Corte Cost. 250/1986 e 317/1989). Quindi, se la scrittura in questione sarà stata indicata tra i documenti allegati all’atto di citazione, non sarà più necessaria alcuna notificazione al convenuto contumace.

Passando ora agli aspetti strettamente processuali, il giudizio di verificazione normalmente si inserisce quale procedimento incidentale, ma può anche introdursi come procedimento principale con atto di citazione, ma in questo caso la parte che propone la domanda deve dimostrare di avervi interesse, ad esempio perché intende servirsi della scrittura come prova in eventuali futuri giudizi o come titolo per trascrizioni o iscrizioni. In tale circostanza, se il convenuto dovesse confermare nelle proprie difese l’autenticità della sottoscrizione, le spese del giudizio saranno poste ovviamente ad esclusivo carico della parte che avrà incardinato il procedimento.

Passando all’oggetto della verifica, occorre specificare che per scrittura si intende qualsiasi documento redatto per iscritto (anche se con mezzi meccanici e anche se predisposto, in tutto o in parte, da un soggetto terzo) e sottoscritto con firma autografa. Proprio la sottoscrizione è l’elemento che consente di ricondurre il documento al suo autore

La scrittura può, quindi, essere stata redatta di proprio pugno oppure da una terza persona, anche con software di scrittura e, ad esempio, rientrano tra le scritture private i prestampati che le imprese fanno sottoscrivere ai propri clienti. Infatti, benché il contenuto sia stato interamente predisposto da un altro soggetto, la sottoscrizione apposta in calce rende direttamente riferibile al firmatario l’intero contenuto, come se l’avesse integralmente scritto lui.

È opinione pacifica, in dottrina e giurisprudenza, quella per la quale l’onere del disconoscimento e l’istanza di verificazione non possono avere ad oggetto le scritture private che non siano munite di sottoscrizione (Cass. Civ. 3730/2013; Cass. Civ. 15949/2004), la valutazione delle quali è dunque rimessa al libero apprezzamento del giudice ai sensi dell’art. 116 (Cass. Civ. 1935/1985).

La verificazione è, quindi, destinata ad attribuire alla scrittura ed alla sua sottoscrizione il valore probatorio messo in dubbio dal disconoscimento del presunto autore e ne è corollario la norma di cui all’art. 2702 c.c., per la quale, se il presunto autore ne riconosce l’originalità, la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta.

In pratica, contro una scrittura privata è possibile difendersi disconoscendone espressamente la sottoscrizione ottenendo così di poter provvisoriamente invalidare il contenuto dell’atto che una parte oppone all’altra, o meglio di sospenderne la valenza probatoria.

La verificazione della scrittura privata, al contrario, è l’antidoto contro il suo disconoscimento: con essa, infatti, la parte che ne ha interesse cerca di “riabilitare” l’atto dimostrando che la sottoscrizione ed il documento sono riconducibili alla parte che l’ha disconosciuta.

Sotto l’aspetto processuale, occorre considerare le opposte posizioni del soggetto che disconosca la sottoscrizione e di quello che invece intenda avvalersene.

Per consolidata giurisprudenza, il disconoscimento è una eccezione in senso proprio ed è, pertanto, soggetta alla disciplina delle preclusioni di cui all’art. 215 c.p.c; quindi esso deve essere chiaramente espresso e formalizzato nella prima udienza o nella prima difesa successiva alla produzione; alla luce della disciplina emergenziale delle udienze in modalità “figurata” si deve quindi ritenere che il disconoscimento debba essere formulato nelle note da depositarsi almeno cinque giorni prima dell’udienza.

Parallelamente, anche l’eccezione relativa alla tardività del disconoscimento è un eccezione in senso proprio e, quindi, non è rilevabile d’ufficio dal giudice ma deve essere sollevata dalla parte che avrà prodotto il documento oggetto del disconoscimento tardivo (Cass. Civ. 10147/2011; Cass. Civ. 9994/2003).

Supponiamo, quindi, che il soggetto presunto sottoscrittore del documento abbia tempestivamente sollevato l’eccezione di disconoscimento. A questo punto, a suo carico non v’è ulteriore attività che debba esser svolta. Infatti, toccherà alla controparte procedere, tempestivamente, al deposito dell’istanza di verificazione nella prima difesa successiva.

Nell’ipotesi che il documento sia stato prodotto con l’atto introduttivo del giudizio, e che il convenuto abbia svolto la propria eccezione nella comparsa di costituzione risposta, sarà quindi opportuno che l’attore proceda al deposito dell’istanza di verificazione, o con le note d’udienza “figurata”, oppure mediante il deposito telematico prima della prima udienza di comparizione, così da porre il Giudice in condizione di conoscere le intenzioni di entrambe le parti già in occasione della prima udienza.

Per ordine del fascicolo, trattandosi di un procedimento incidentale, pare preferibile introdurre il giudizio di verificazione con apposito atto, separato dalle altre difese nel procedimento principale.

Tuttavia, è opportuno segnalare che non mancano pronunce che hanno ritenuto ammissibile, e non tardiva, l’istanza di verificazione anche se formulata successivamente e, in particolare, questi Giudici hanno stabilito che essa può anche esser utilmente introdotta entro il termine perentorio previsto per tutte le altre istanze istruttorie e, quindi, nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. (Cass. Civ. 16915/2011; Cass. Civ. 2411/2005). In ogni caso, onde non correre il rischio che il giudice adito non sposi questa linea e comunque per non complicarsi la vita, è sempre consigliabile proporla immediatamente a seguito dell’eccezione di disconoscimento e con deposito di un atto separato specificamente diretto ad invocare la verificazione.

All’atto della proposizione dell’istanza, la parte ha l’onere di offrire al Giudice i mezzi di prova (ad esempio un testimone che abbia assistito alla sottoscrizione) e producendo, o indicando, le scritture che ritiene utili per la comparazione grafologica.

Tali documenti potranno avere diverso peso nella valutazione a seconda che si tratti di altre scritture private la cui sottoscrizione sia certa (perché già riconosciuta ovvero accertata con sentenza), oppure, ad esempio, che si tratti di atti pubblici nei quali l’autenticità è certificata dal Notaio rogante, o, ad esempio, la firma sulla carta d’identità, che è certificata dal delegato del Sindaco.

Nel caso degli atti pubblici sarà utile indicare il Notaio presso il quale l’atto fu rogato e che pertanto ne conserva l’originale nel proprio archivio.

Occorre precisare, per completezza, che l’art. 216 Cass. Civ. non prevede sanzioni di inammissibilità o nullità dell’istanza di verificazione per il caso della mancata produzione di prove o di documenti per la comparazione e, quindi, se ne desume che esse non siano indispensabili, anche perché le prove utili all’accertamento potrebbero, in ogni caso, emergere dagli atti del giudizio, senza bisogno del compimento di ulteriori attività istruttorie (Cass. Civ. 9523/2007; Cass. Civ. 890/2003).

Nel caso in cui il documento contenente la scrittura privata oggetto del disconoscimento sia stato prodotto in fotocopia, la parte che intenda avvalersene, sarà tenuta a produrne l’originale ai fini della verificazione (Cass. Civ. 24306/2017) ma se il documento originale non fosse in suo possesso, bensì nelle mani dell’avversario, l’istante per la verificazione dovrà chiedere al Giudice l’emissione dell’ordine di esibizione e, se tale ordine non dovesse essere adempiuto, l’esame peritale sarà svolto sulla fotocopia e la parte inadempiente non potrà eccepire in appello la nullità dell’elaborato peritale per essere stata sottoposta all’indagine la sola fotocopia, poiché si tratterebbe di una nullità relativa la cui denunzia è preclusa dall’avervi dato causa (Cass. Civ. 20884/2020).

Ai sensi dell’art. 217 Cass. Civ., il Giudice dispone le cautele per la custodia del documento ed il deposito in cancelleria e, quindi, nomina il consulente tecnico esperto in grafologia e, se e quando occorre, provvede all’ammissione degli altri mezzi di prova che egli ritenga utili per l’accertamento (Cass. Civ. 12695/18).

Il giudice, comunque, non è obbligato a nominare il consulente e la nomina è rimessa alla sua discrezionalità (Cass. Civ. 1282/2003); infatti, la consulenza tecnica grafologica non è un mezzo istruttorio primario ed imprescindibile (Cass. Civ. 8881/2005; Cass. Civ. 3009/2002; anche se di recente contra, Cass. Civ. 2579/2009), il giudice infatti può farne a meno qualora ritenga sufficienti gli altri elementi di prova che le parti gli abbiano offerto e possa, quindi, desumere la veridicità del documento dalla sua comparazione con altre scritture certamente originali e ritualmente acquisite al processo (Cass. Civ. 887/2018). Inoltre, il giudice non è vincolato ad alcuna graduatoria di priorità nel provvedere all’ammissione delle altre prove (Cass. Civ. 29542/2019; Cass. Civ. 6460/2019; Cass. Civ. 15686/2015) e, quindi, potrà rinviare l’esperimento grafologico successivamente all’assunzione delle altre prove, dalle quali potrebbe ricavare gli elementi idonei a rendere superflua la CTU grafologica.

Il giudice è anche libero nello scegliere le scritture di comparazione tra quelle offerte dalla parte ma, in mancanza di accordo delle parti sui documenti comparativi, egli sarà vincolato a ritenere idonee alla comparazione soltanto quella scritture la cui autenticità sia stata previamente riconosciuta in via giudiziale, per autenticazione stragiudiziale (App. Napoli 30.6.2005), per riconoscimento espresso, o tacito nel caso in cui non ne sia mai stata contestata l’autenticità.

Qualora il consulente si sia avvalso di scritture di comparazione non preventivamente indicate dal giudice, ed in mancanza di accordo tra le parti, la nullità della consulenza dovrà necessariamente essere rilevata dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al deposito della consulenza (Cass. Civ. 23851/2011; Cass. Civ. 3009/2002).

L’art. 218 Cass. Civ. non pare presentare elementi di particolare difficoltà interpretativa ed attuativa poiché si limita ad autorizzare il Giudice a richiedere ai soggetti terzi di depositare in cancelleria i documenti di comparazione che giacciano presso depositari pubblici o privati e, in caso l’asporto non sia concesso dalle norme, il giudice provvederà a disporne l’esame presso il depositario, autorizzando a tal uopo il CTU.

L’art. 219 Cass. Civ. prevede che il Giudice ordini alla parte di scrivere sotto dettatura alla presenza del consulente e, così, si crea una situazione che può rasentare il comico poiché la parte, alla quale sia stato ordinato di scrivere, normalmente farà di tutto per vergare delle firme del tutto diverse da quella oggetto della verificazione .. in tal caso, solo l’esperienza e l’astuzia del CTU potranno risolvere la situazione impartendogli precisi ordini di scrittura e giungendo, sostanzialmente, a costringerla a fare una firma il più possibile naturale, nella sua interezza o nei suoi singoli elementi.

Tale ipotesi dovrà comunque esser prevista dal Giudice nell’ordinanza ammissiva dell’esame grafologico.

Ovviamente, se la parte dovesse rifiutarsi di scrivere sotto dettatura o non dovesse addirittura presentarsi all’esame peritale, la scrittura potrà ritenersi riconosciuta, con evidente parallelismo rispetto a quanto accade in caso di mancata comparizione all’interpello.

L’art. 220 Cass. Civ. stabilisce che sia sempre il Collegio a pronunciarsi sulla verificazione, ma il termine “collegio“, tuttavia merita segnalare che tale termine è stato impropriamente conservato dal legislatore pur a seguito della riforma del 1998 e, quindi, deve essere inteso come organo giudicante, sia in composizione monocratica che collegiale, a seconda della materia trattata, infatti, Il giudizio di verificazione non rientra tra le cause che l’art. 50 bis cpc ha riservato al tribunale in composizione collegiale.

Quando l’incidente di verificazione insorga davanti al giudice di pace, la regola di competenza resta identica, in forza dei rinvii di cui all’art. 281 bis e 311 c.p.c., e, quindi, il giudice di pace non può rimettere la decisione sull’incidente al tribunale in composizione collegiale invocando l’art. 220 c.p.c., poiché questo non esprime una regola di competenza. (Cass. Civ. 5929/2012).

La sentenza, a prescindere che si tratti di procedimento principale o incidentale, che si concluda con l’accertamento dell’autenticità della scrittura o della sottoscrizione, conferisce al documento l’efficacia probatoria privilegiata di cui all’art. 2702 c.c. (Cass. Civ. 11674/2008) ed il giudice avrà anche la facoltà di condannare la parte, che avendo disconosciuto la propria scrittura o sottoscrizione, abbia negato l’autenticità del documento, ad una pena pecuniaria che è prevista dalla norma. Tale pena, nel caso in cui la parte disconosca una firma poi risultata effettivamente propria, non pare tuttavia idonea ad indurla al riconoscimento nel timore della sanzione economica, poiché essa va da 2 a 20 euro.

Tuttavia, assai più suggestivo potrebbe essere il timore di subire la condanna per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c. che la Cassazione ha ritenuto ammissibile (Cass. Civ. 163/1989).

Invece, nel caso di esito negativo del procedimento di verificazione, la pronuncia si limita a dichiarare la non riferibilità del documento al presunto sottoscrittore (non la falsità) privando il documento così di qualsivoglia efficacia probatoria e rendendolo, dunque, inutilizzabile, con la conseguenza che esso non potrà neanche essere liberamente apprezzato dal giudice.

Infine, con riguardo al valore probatorio dell’esito del giudizio di verificazione, si segnalano due pronunce della S.C. che paiono meritevoli di attenzione:

In tema di verifica dell’autenticità della scrittura privata, la limitata consistenza probatoria della consulenza grafologica, non suscettiva di conclusioni obiettivamente ed assolutamente certe, esige non solo che il giudice fornisca un’adeguata giustificazione del proprio convincimento in ordine alla condivisibilità delle conclusioni raggiunte dal consulente, ma anche che egli valuti l’autenticità della sottoscrizione dell’atto, eventualmente ritenuta dalla consulenza, anche in correlazione a tutti gli altri elementi concreti sottoposti al suo esame.(Cass. Civ. n. 2579/2009)

Il giudice del merito, benché abbia disposto la consulenza grafica per verificare l’autografia di una scrittura disconosciuta, se l’indagine esperita non è giunta a risultati del tutto rassicuranti, ha il potere-dovere di formare il proprio convincimento sulla base di qualsiasi elemento di prova obiettivamente conferente, quali la prova testimoniale, le presunzioni semplici, comprese quelle desunte da fatti acquisiti a mezzo prova testimoniale, il comportamento processuale delle parti, senza essere vincolato ad alcuna graduatoria tra le varie fonti di accertamento della verità. (Cass. Civ. n. 14227/1999)

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Avv. Mauro Manassero