La risalita delle piste da sci da parte degli scialpinisiti.

Brevi note circa la risalita delle piste da sci da parte degli scialpinisti per l’evento formativo della Camera Civile del Piemonte e della Valle d’Aosta del 21.10.2021 dal titolo:

LA RESPONSABILITÀ CIVILE E PENALE

NELL’ACCOMPAGNAMENTO IN MONTAGNA

(Avv. Mauro Manassero)

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L’argomento relativo alla risalita delle piste da sci da parte degli scialpinisti non comporta particolari difficoltà di individuazione delle norme e di interpretazione delle medesime, poiché chiaro ne è il contenuto.

Piuttosto, in base alla mia esperienza personale, mi risulta che molti scialpinisti non siano al corrente delle norme stesse e, dall’altro canto, pare che i gestori degli impianti non siano normalmente propensi a pretenderne il rispetto, sia per le difficoltà oggettive e materiali, sia per il timore di attriti con gli sportivi e sia perché, non essendo pubblici ufficiali, non sono titolari dei poteri necessari per contestare le violazioni.

Il principio generale, che era già presente nella precedente L. n. 363/2003 e che è stato confermato nel novello Decreto legislativo n. 40 del 28.02.2021, è che agli scialpinisti (così come ai ciaspolatori, pedoni, slitte e slittini, motoslitte, etc.) è fatto divieto assoluto di risalire le piste da sci.

Quando sono aperte, perché si verrebbe a creare l’evidente pericolo di scontro tra gli sciatori discesisti e coloro che risalgono le piste; quando sono chiuse, perché in tale circostanza gli addetti della stazione provvedono ad intervenire per le manutenzioni necessarie a chiusura impianti e per predisporre le piste (battitura) per la giornata successiva – a tutti gli effetti, quando le piste sono chiuse sono infatti dei “cantieri”.

Tali norme sono spesso violate, e, infatti, sono frequenti i casi di incidenti, anche gravissimi se non addirittura letali, occorsi a scialpinisti soprattutto ad impianti chiusi in conseguenza di impatti contro mezzi battipista o contro cavi d’acciaio utilizzati per l’ancoraggio dei medesimi.

Le norme che contengono il divieto, che sono in vigore dal 3 aprile 2021, sono:

Art. 24. Transito e risalita

1. E’ vietato percorrere a piedi e con le racchette da neve le piste da sci, salvo in casi di urgente necessità.

2. Chi discende la pista senza sci deve tenersi ai bordi delle piste, rispettando quanto previsto all’articolo 25, comma 3.

3. In occasione di gare o sedute di allenamento è vietato a coloro che non partecipano alle stesse di sorpassare i limiti segnalati, sostare sulla pista di gara o di allenamento e di percorrerla.

4. La risalita della pista con gli sci ai piedi e l’utilizzo delle racchette da neve, o con qualsiasi altro mezzo, sono normalmente vietati. Le risalite possono essere ammesse previa autorizzazione del gestore dell’area sciabile attrezzata o, in mancanza di tale autorizzazione, in casi di urgente necessità, e devono comunque avvenire mantenendosi il più possibile vicini alla palinatura che delimita la pista, avendo cura di evitare rischi per la sicurezza degli sciatori e rispettando le prescrizioni di cui al presente decreto, nonché quelle adottate dal gestore dell’area sciabile attrezzata.

… è poi molto interessante il quarto comma dello

Art. 26. Sci fuori pista, sci-alpinismo

e attività escursionistiche.

1. Il concessionario e il gestore degli impianti di risalita non sono responsabili degli incidenti che possono verificarsi nei percorsi fuori pista serviti dagli impianti medesimi.

2. I soggetti che praticano lo sci-alpinismo o lo sci fuoripista o le attività escursionistiche in particolari ambienti innevati, anche mediante le racchette da neve, laddove, per le condizioni nivometeorologiche, sussistano rischi di valanghe, devono munirsi di appositi sistemi elettronici di segnalazione e ricerca, pala e sonda da neve, per garantire un idoneo intervento di soccorso.

3. I gestori espongono quotidianamente i bollettini delle valanghe redatti dai competenti organi dandone massima visibilità.

4. Il gestore dell’area sciabile attrezzata, qualora le condizioni generali di innevamento e ambientali lo consentano, può destinare degli specifici percorsi per la fase di risalita nella pratica dello sci alpinismo.

La previsione contenuta in questo comma rappresenta un’evidente disponibilità delle associazioni di gestori (ANEF e FEDERFUNI) che, al fine di soddisfare anche le esigenze degli sportivi (non loro clienti), si sono rese disponibili a predisporre tali percorsi di risalita ove l’innevamento lo consenta.

In ogni caso, comunque, tutti i soggetti, fatta eccezione per gli sciatori discesisti dotati di skipass, dovrebbero astenersi dal percorrere le piste da sci e, ripeto, sia quando sono aperte e sia quando sono chiuse

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L’incendio negli edifici, profili civilistici.

Relazione dell’Avv. Mauro Manassero nell’evento formativo della Camera Civile del Piemonte e della Valle d’Aosta del 13.12.2021 dal titolo:

L’incendio: profili penalistici, civilistici ed assicurativi.”

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INCENDIO: profili civilistici.

Nel c.c. l’incendio è nominato solamente in tre articoli (1588 perdita e deterioramento della cosa locata – 1611 incendio di casa abitata da più inquilini – 1589 incendio di cosa assicurata) di quest’ultima norma non mi occuperò rientrando nell’argomento della successiva relazione dell’avv. M.C.

esclusa la norma contenuta nell’art. 1589, sotto l’aspetto civilistico l’incendio è, quindi, espressamente disciplinato dal codice solamente quando coinvolga un immobile condotto in locazione o quando si tratti di “cosa” locata .. si tratta quindi della disciplina che discende dalla sussistenza del rapporto contrattuale della locazione

Inoltre, l’argomento rientra, ovviamente, nell’alveo delle previsioni codicistiche di cui all’art. 2043 e seguenti per i risvolti risarcitori del danno procurato dall’incendio a beni appartenenti a soggetti terzi

Non potendo, in questa sede trattare tutte le ipotesi, limiterò la mia trattazione all’incendio in ambito condominiale ed all’incendio dell’immobile locato, lasciando alla libera iniziativa di ciascuno di Voi per gli approfondimenti relativi alle altre ipotesi (incendio provocato dall’incapace – 2047 – dal minore 2048 – dal lavoratore dipendente 2049 – per le attività pericolose 2050 – dalla circolazione di veicoli 2054) mentre per quanto concerne la previsione di cui all’art. 2051, responsabilità per le cose in custodia, rientrerà nella relazione essendo riferibile alla responsabilità dell’amministratore del condominio

Iniziando, quindi, dall’incendio nel condominio:

occorre distinguere se esso si sia propagato da una delle parti comuni dell’edificio e, quindi, ad esempio dall’impianto elettrico o dall’impianto del riscaldamento comune, o se esso sia scaturito da un abitazione privata

Nel primo caso, ove sia accertato che l’evento è scaturito a causa di mancate manutenzioni, mancati adeguamenti degli impianti alle norme di legge e, quindi, al di fuori ed oltre l’ipotesi della sussistenza del “caso fortuito”, che rappresenta l’unica causa di esclusione della responsabilità per le cose in custodia, l’amministratore del Condominio sarà ritenuto responsabile dei danni derivati dall’evento.

Egli potrà andar esente da responsabilità solamente offrendo la prova della sussistenza del caso fortuito, che consiste nella dimostrazione che il fattore determinante l’insorgere dell’incendio, nel caso del Condominio, ha avuto origine in parti, strutture o apparati sottratti alla sua disponibilità ed al suo controllo e, quindi, estranei alla sfera dei suoi poteri e doveri di vigilanza.

Quindi, l’amministratore del Condominio è responsabile, civilmente e penalmente, delle conseguenze derivate dall’incendio delle parti comuni sulla base della previsione dell’art. 2051 per la responsabilità delle cose in custodia in quanto egli, ai sensi dell’art. 1130 n. 4 cod civ. (obbligo di compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio) ed in base all’art. 40 c.p. secondo comma (Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo) poiché egli è responsabile per l’attività di controllo che su di lui grava in virtù del rapporto di mandato d’amministrazione che rende legittima la pretesa dai condomini avente ad oggetto la custodia dei beni comuni; in tal caso, mi correggano i penalisti, si versa nell’ipotesi del reato omissivo improprio, o commissivo mediante omissione.

Tale condotta acquisisce, dunque, rilevanza causale poiché deriva dall’assunzione volontaria dell’obbligo di custodia al quale l’amministratore si sottopone in virtù della sua attività professionale e del mandato ricevuto per via contrattuale.

Corollario di quanto detto fino ad ora, è il principio per il quale il Condominio, ed il suo amministratore, non possono esser tenuti responsabili quando l’incendio si sia propagato da una parte privata e non da un parte comune, così come deciso ad esempio dal

Tribunale – Roma, 05/11/2001,

Il condominio non è responsabile dei danni causati a terzi da un incendio che, pur avendo coinvolto il fabbricato condominiale, si sia sviluppato all’interno di una porzione di proprietà esclusiva.

In tal caso, la responsabilità risarcitoria graverà sul proprietario dell’unità dalla quale si è propagato l’incendio con riguardo ai danni derivati alle unità private limitrofe coinvolte nell’evento ed alle parti comuni dell’edificio.

A tal proposito, ritengo opportuno rassegnarvi un breve corredo giurisprudenziale riguardo ad alcune pronunce che ho reperito e che mi paiono interessanti.

Ovviamente, molte saranno sentenze penali ma vorrete perdonarmi perché ciò è determinato non dalla mia volontà di “sconfinare” dalle mie competenze, ma perché l’argomento è stato trattato in massima parte dai giudici penali nelle sentenze dei quali si reperiscono spunti d’interesse civilistico.

In primo luogo la Sentenza Cass. Civ. n. 39959/09 della quale sono state pubblicate più massime, tre delle quali mi paiono interessanti perché confermano quanto fino ad ora vi ho detto

Cass. pen., Sez. IV, 23/09/2009, n. 39959

La responsabilità penale dell’amministratore di condominio (nella specie in considerazione per l’incendio causato dal malfunzionamento di una canna fumaria) ha natura omissiva, traendo origine dalla violazione dell’obbligo di compiere tutti gli atti idonei a tutelare i diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, ne discende che l’accertamento in concreto della colpevolezza di tale soggetto postula sia l’individuazione precisa del comportamento in concreto esigibile in relazione alla sua posizione di garanzia, che la sussistenza del nesso causale tra l’omissione e l’evento lesivo.

L’amministratore di un condominio è titolare di garanzia quanto alla conservazione delle parti comuni dell’edificio condominiale, giusta l′inequivoco disposto dell’art. 1130 n. 4, del codice civile, onde, laddove non si attivi, può ravvisarsi la sua responsabilità ex art. 40, comma 2, del c.p., che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” con la precisazione che l’obbligo di attivarsi a carico dell′amministratore non deriva da alcuna specifica autorizzazione dei condomini, giacché l’art. 1130 n. 4, del codice civile gli pone come dovere proprio del suo ufficio quello di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, prescindendo, anzi, dal fatto che si tratti di atti cautelativi e urgenti e prescindendo, altresì, dal fatto che la situazione di pericolo derivi dai beni di terzi e non sia di pertinenza del condominio. (Nella specie, trattatasi di un percolo di incendio riconducibile al difetto di installazione di una canna fumaria non appartenente al condominio, bensì a terzi).

Sussiste una responsabilità penale in capo all’amministratore di condominio nel caso di danni allo stabile da lui gestito solo se risulta giustificata e processualmente certa la conclusione che la sua condotta omissiva è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha annullato un verdetto di condanna che riteneva responsabile anche un amministratore di condominio, a titolo di concorso colposo, dell’incendio scoppiato nell’edificio e causato dalla difettosa installazione della canna fumaria della pizzeria attigua al palazzo).

Tornando all’obbligo di custodia delle parti comuni, occorre specificare che esso non è limitato alle condizioni materiali ed agli eventi fattuali dai quali potrebbe propagarsi l’incendio, ma si estende anche alle attività che potremmo definire “d’ufficio” .. esempio di questo principio si reperisce nella sentenza

Cass. pen., Sez. IV, 30/06/2017, n. 43500

L’amministratore che stipuli un contratto di affidamento in appalto di lavori da eseguirsi nell’interesse del Condominio è tenuto, quale committente, all’osservanza degli obblighi di verifica della idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice essendo titolare di un obbligo di garanzia, quanto alla conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio condominiale, ai sensi dell’art. 1130 cod. civ. Non rileva pertanto, nel caso di specie, che l’incendio si sia sviluppato su una parte comune dell’edificio condominiale ovvero su un bene appartenente al singolo condomino, accessibile dalla parte comune. Egli, ben consapevole che i lavori da eseguire comportavano l’utilizzo di materiale infiammabile, avrebbe dovuto attivarsi a tutela delle parti comuni esposte a pericolo, assicurandosi della capacità della persona incaricata: la sua colpevole inerzia ebbe perciò un ruolo causalmente incidente sulla produzione dell’evento.

Ovviamente la responsabilità dell’amministratore del Condominio sarà definitivamente esclusa quando il comportamento dei singoli condomini abbia influito, con funzione causale ed esclusiva, sull’accadimento dell’evento pernicioso e, a tal proposito, mi pare degna di rilievo la pronuncia del

Tribunale – Teramo, 26/01/2017, n. 48

La condotta colposa dei danneggiati (sostanziatasi nel mancato rispetto, pur essendovi tenuti in relazione alle porzioni di loro esclusiva pertinenza, della normativa sulla prevenzione degli incendi e, dunque, nella mancata predisposizione ed adozione di tutti i dispositivi all’uopo prescritti e che, ove esistenti, avrebbero con ogni probabilità, avuto riguardo in particolare alla porta tagliafuoco -notoriamente deputata, tra l’altro, a ridurre la diffusione di fiamme e fumo tra compartimenti di un edificio – impedito l’infiltrarsi delle propagazioni di fumo rilasciate dall’incendio) appare idonea ad elidere qualsiasi preteso profilo di responsabilità custodiale dell’amministratore di condominio in proprio, ponendosi quale fattore causale idoneo di per sé solo a rilevare quale causa dell’eventus damni dedotto.

Con riguardo, infine, al riparto dell’onere probatorio, occorre rilevare che

Tribunale sez. XII – Roma, 14/01/2016, n. 694

In tema di responsabilità da cosa in custodia (art. 2051 c.c.), seppure la ripartizione dell’onere della prova sia particolarmente agevole per il danneggiato, quest’ultimo deve comunque dimostrare il fatto storico (comprensivo della qualità di custode del bene foriero di danno in capo al convenuto) ed il nesso causale tra il pregiudizio subito e l’evento dedotto; resta, invece, a carico del custode la dimostrazione della sussistenza del caso fortuito volto ad interrompere il nesso causale tra il danno e l’evento, così da renderlo esente da responsabilità. (Fattispecie relativa ad un incendio scoppiato in un condominio, in cui è stata esclusa la responsabilità ex art. 2051 c.c. a fronte della mancata dimostrazione che il fatto avesse avuto origine nelle parti del bene oggetto dell’onere di custodia e manutenzione da parte del condominio).

E con riferimento al momento processuale della deduzione della prova relativa al fatto del terzo che interrompa il nesso causale, Vi segnalo la sentenza

Cass. civ., Sez. III, 23/06/2016, n. 13005

In materia di responsabilità da cose in custodia, la sussistenza del caso fortuito (nella specie, incendio di cassonetto dolosamente provocato dal terzo), idoneo ad interrompere il nesso causale, forma oggetto di un onere probatorio che grava sul custode, soggiacendo, pertanto, alle relative preclusioni istruttorie, ma non anche di un’eccezione in senso stretto, sicché la relativa deduzione non incorre nella preclusione fissata, per il primo grado, dall’art. 167, comma 2, c.p.c. (comparsa di costituzione risposta) (Rigetta, App. Genova, 13/03/2012)

Per definitivamente concludere con riguardo alla responsabilità dell’amministratore e dell’obbligo di custodia sul medesimo gravante, vi segnalo una sentenza di legittimità che parrebbe, tuttavia, affermare il contrario di quanto fino ad ora vi ho detto …. ma non è così !

si tratta di

Cassazione penale sez. III – 29/11/2011, n. 886

Nell’ipotesi in cui la Corte di cassazione riscontri, unitamente alla causa estintiva della prescrizione del reato, un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata, deve annullarla senza rinvio ai fini penali e, ove la sentenza contenga la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, annullarne anche le statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (fattispecie relativa all’impugnazione della sentenza di condanna emessa nei confronti di un amministratore di condominio per non aver impedito il propagarsi di un incendio, nonostante gli fosse stata consegnata un perizia tecnica in cui si dava atto che i lavori per la realizzazione di una canna fumaria, in una pizzeria adiacente all’immobile condominiale erano stati eseguiti in modo difforme dal progetto iniziale, risultando tale canna fumaria quasi completamente sprovvista di qualsiasi limitazione del calore prodotto, e che vi era conseguente possibilità di incendio).

Infatti, avendo avuto l’amministratore la perizia che accertava l’insufficienza del sistema di coibentazione della canna fumaria, è sorto in lui l’obbligo di custodia e di protezione delle parti comuni che avrebbero potuto esser danneggiate in conseguenza dell’incendio. Parrebbe trattarsi di un’interpretazione particolarmente estensiva dell’obbligo di custodia, ma in realtà così non è anche in considerazione della previsione del secondo comma dell’art. 40 c.p. già prima visto, per il quale (Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo).

Nel caso poi, della sussistenza di più concause concorrenti alla propagazione dell’incendio, ognuna di esse concorrerà alla determinazione dei soggetti tenuti responsabili al risarcimento, così come affermato in

Cass. civ., Sez. III, 26/10/2017, n. 25422

In tema di responsabilità civile per danni provocati da incendio, nella produzione dell’evento dannoso assumono concorrente rilevanza tutte le cause che abbiano determinato la diffusività e la propagazione del fuoco, e non soltanto i fattori che ne abbiano cagionato l’innesco. (Nella specie, la S.C., confermando la decisione di merito, ha ritenuto fattori concorrenti nella causazione di un incendio l’erronea installazione di un contatore di elettricità, tale da provocare un cortocircuito, e l’accumulo, nelle vicinanze dello stesso, di materiale facilmente infiammabile). (Rigetta, CORTE D’APPELLO CAMPOBASSO, 08/04/2014)

Se l’incendio in ambito condominiale si propaga, invece, da un appartamento privato a quelli limitrofi ed alle parti comuni del Condominio, il regime della responsabilità sarà l’ordinario previsto dall’art. 2043 c.c., qualora derivi dagli impianti privati dell’alloggio o da altra causa ad esso interna (corto circuito dell’impianto elettrico a servizio dell’abitazione privata, una candela lasciata accesa, o la sigaretta sul tappeto …) e dalle successive norme che interverranno se l’evento sarà stato cagionato da un minore, da un dipendente, da un incapace,

sempre che non sia ravvisabile la concorrente responsabilità dell’amministratore con riguardo al suo dovere di accertarsi che dalle opere eseguite nell’ambiente esclusivo non possa derivare danno alle parti comuni del Condominio, responsabilità già prima vista.

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Nella locazione

(1588 perdita e deterioramento della cosa locata

1611 incendio di casa abitata da più inquilini)

Propagazione da impianti dell’unità locata:

Ai sensi dell’art. 1588 del codice civile, il conduttore (inquilino) è responsabile nei riguardi del locatore (proprietario) dei danni causati dall’incendio dell’immobile locato, anche se esso è stato causato da soggetti terzi che egli abbia ammesso all’uso e/o al godimento della casa anche temporaneamente.

La norma non pone, dunque, particolari difficoltà interpretative.

Ritengo, allora, opportuno rassegnarvi, anche in questo caso, un breve corredo giurisprudenziale dal quale sarà possibile trarre spunti di riflessione.

In primo luogo, occorre chiarire che la responsabilità del conduttore si fonda su una presunzione semplice, art. 2729 cod civ., che potrà essere superata, ai sensi dell’art. 2697, mediante la prova contraria in applicazione del regime dell’onere della prova.

A tal proposito, una recentissima sentenza della Cassazione, la … ha stabilito che

Cassazione civile sez. VI – 10/03/2021, n. 6550

In ipotesi di incendio della cosa locata, il conduttore risponde della perdita o deterioramento del bene, qualora non provi che il fatto si sia verificato per causa a lui non imputabile, ponendo l’articolo 1588 del codice civile a suo carico una presunzione di colpa, superabile solo con la dimostrazione di avere adempiuto diligentemente i propri obblighi di custodia e con la prova positiva che il fatto da cui sia derivato il danno o il perimento della cosa è addebitabile a una causa esterna al conduttore a lui non imputabile, da individuarsi in concreto, ovvero al fatto di un terzo, del quale è invece irrilevante accertare l’identità, esulando l’identificazione di tale soggetto dall’attività oggetto della prova liberatoria.

(principio già contenuto in Cassazione civile sez. III – 10/08/2016, n. 16877; Cassazione civile sez. III – 15/12/2015, n. 25221; Cassazione civile sez. III – 27/07/2015, n. 15721;

né rileva se il terzo abbia agito con colpa o con dolo, Cass. Civ. sez. VI – 28/09/2015, n. 19126)

Il principio della presunzione semplice circa la responsabilità del conduttore conduce all’ulteriore corollario per il quale, nell’ipotesi in cui la causa dell’incendio rimanga sconosciuta, egli sarà tenuto patrimonialmente responsabile per i danni arrecati in attuazione della presunzione or ora vista.

Il principio è stato recentemente confermato nella pronuncia

Cassazione civile sez. III – 26/09/2018, n. 22823

L’art. 1588 c.c., in base al quale il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa locata anche se derivante da incendio, qualora non provi che il fatto si sia verificato per causa a lui non imputabile, pone una presunzione di colpa a carico del conduttore, superabile soltanto con la dimostrazione che la causa dell’evento, identificata in modo positivo e concreto, non sia a lui imputabile, onde, in difetto di tale prova, la causa sconosciuta o anche dubbia della perdita o del deterioramento della cosa locata rimane a suo carico. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in un caso di allagamento di un immobile, aveva ritenuto integrata la prova liberatoria da parte del conduttore, a fronte della mera allegazione della verosimile rottura di un flessibile di un sanitario del bagno, la quale era però rimasta indimostrata all’esito della disposta consulenza tecnica d’ufficio).

Ultimo corollario del principio in esame è quello per il quale il proprietario, che abbia subito i danni all’abitazione locata derivati dall’incendio procurato dal comportamento di un soggetto terzo che il conduttore abbia ammesso all’uso e/o al godimento anche solo temporaneo (ospite), avrà azione solo ed esclusivamente nei confronti del suo conduttore e non nei confronti dell’ospite, verso il quale sarà il conduttore che dovrà rivalersi ed invocarne la responsabilità con la richiesta di autorizzazione alla chiamata del terzo in causa.

Il principio è confermato in

Cassazione civile sez. III – 14/10/2019, n. 25779

E’ responsabile il conduttore per l’incendio della cosa locata, anche se causato da persone che egli ha ammesso temporaneamente all’uso o al godimento del bene.

È dunque da escludersi che l’occupante dell’immobile cui il conduttore abbia concesso l’uso momentaneo o anche continuativo della cosa locata possa rispondere nei confronti del locatore, se la cosa subisce un incendio, ai sensi dell’art. 2051 c.c., posto che tale norma attiene esclusivamente ai danni causati dalla cosa ai terzi, e non già a quelli che il conduttore causa alla cosa stessa. Ciò detto, e posto che alla fattispecie è riferibile, per contro, l’art. 1588 , si applica chiaramente il comma 2 di tale norma, che rende il conduttore responsabile (nei riguardi del locatore) dell’incendio della cosa locata, anche se causato da persone che egli abbia ammesso, anche temporaneamente, all’uso o al godimento della cosa.

Con riguardo alla previsione di cui all’art. 1611 (Incendio di casa abitata da più inquilini, ho reperito solamente due sentenze, una CdA Bologna del 1980, ed una Trib Parma del 1957 e do lettura delle due massime:

App. Bologna, 29/04/1980

In tema di ripartizione del risarcimento dei danni causati da incendio tra più locatari, pur se ad un primo esame il testo dell’art. 1611 c. c. sembrerebbe doversi interpretare nel senso che gli inquilini rispondono del danno in rapporto non a quello verificatosi nella parte rispettivamente goduta, bensì al valore della totalità della parte medesima (anche se solo parzialmente danneggiata), ove si tenga presente che la norma citata si ricollega al disposto dell’art. 1588 c. c. in tema di responsabilità per perdita o deterioramento della cosa locata (al punto che è stata ritenuta una superflua enunciazione di un principio già discendente da quest’ultima disposizione), è però logica la contraria interpretazione, secondo cui ciascun conduttore risponde in proporzione del danno che, ai sensi del cit. art. 1588 c. c., si presume abbia arrecato alla porzione locata, e non invece in base al valore della porzione stessa (comprensivo anche della parte rimasta indenne, che sul danno non incide); tale ultimo criterio distintivo avrebbe ragione di essere, considerato naturalmente nel rapporto interno tra condebitori, solo ove la responsabilità fosse solidale.

Trib. Parma, 10/12/1957

La responsabilità concorrente degli inquilini verso il locatore, ai sensi dell’art. 1611 c.c., può essere esclusa se si prova che l’incendio è cominciato dall’abitazione di uno degli inquilini; del pari ciascuno degli inquilini può liberarsi da detta responsabilità dimostrando che l’incendio non ha potuto cominciare nella sua abitazione; irrilevante è, invece, la prova che uno degli inquilini era assente.

Il giudizio di verificazione.

Brevi note circa il Giudizio di verificazione per l’evento formativo della Camera Civile del Piemonte e della Valle d’Aosta del 21.09.2021 dal titolo:

LA PERIZIA GRAFOLOGICA ED IL GIUDIZIO DI VERIFICAZIONE”.

(Avv. Mauro Manassero)

La disciplina processuale del giudizio di verificazione è trattata nel nostro codice di rito nei pochi articoli compresi tra il 216 ed il 220.

Prima di affrontare i temi che disciplinano il procedimento, è tuttavia necessario analizzare brevemente le norme contenute negli articoli 214 e 215 c.p.c., che trattano del disconoscimento e del riconoscimento tacito della scrittura privata.

In primo luogo, il giudizio di verificazione è normalmente un sub-procedimento o procedimento incidentale che si inserisce nell’ambito di un giudizio civile principale ed è volto ad accertare l’originalità della sottoscrizione a seguito della sua formale negazione da parte di colui contro il quale essa sia stata prodotta e che, secondo le prospettazioni della controparte, ne è l’autore.

Tale disconoscimento è espressamente previsto dall’art. 214 c.p.c.

Al contrario, ai sensi dell’art. 215, la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta:

– quando la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione.

– oppure quando la parte, alla quale la scrittura è attribuita o contro la quale è prodotta, è contumace, salva la disposizione dell’articolo 293 terzo comma;

in verità, l’ordine delle preclusioni relative al disconoscimento è previsto nella norma in senso inverso rispetto a quello sopra esposto, ma l’opportunità di tale inversione discende dal fatto che, a differenza di quella della parte costituita, la posizione del convenuto contumace richiede una breve osservazione.

Infatti, a corollario della norma di cui al 215 n. 1) c.p.c., vi è l’eccezione prevista dal terzo comma dell’art. 293 c.p.c. che si verifica quando il contumace si costituisca tardivamente; in tal caso, egli può disconoscere le scritture prodotte contro di lui nella prima udienza o nel termine assegnatogli dal giudice istruttore; oltre a ciò, qualora la parte sia stata contumace in primo grado avrà la possibilità di disconoscere la scrittura privata contro di lui prodotta nell’atto di appello.

Sul tema, è anche importante analizzare l’art. 292 c.p.c., poiché questo non prevede, tra gli atti che devono essere notificati personalmente al contumace, il verbale in cui si dia atto della produzione della scrittura privata contro il contumace stesso.

Sono stati, dunque, necessari due interventi della Corte costituzionale che hanno sancito l’incostituzionalità del primo comma dell’art. 292 del c.p.c. nella parte in cui non prevede la notificazione al contumace del verbale in cui si dia atto della produzione in giudizio della scrittura privata che non sia stata indicata negli atti notificatigli in precedenza (sentenze Corte Cost. 250/1986 e 317/1989). Quindi, se la scrittura in questione sarà stata indicata tra i documenti allegati all’atto di citazione, non sarà più necessaria alcuna notificazione al convenuto contumace.

Passando ora agli aspetti strettamente processuali, il giudizio di verificazione normalmente si inserisce quale procedimento incidentale, ma può anche introdursi come procedimento principale con atto di citazione, ma in questo caso la parte che propone la domanda deve dimostrare di avervi interesse, ad esempio perché intende servirsi della scrittura come prova in eventuali futuri giudizi o come titolo per trascrizioni o iscrizioni. In tale circostanza, se il convenuto dovesse confermare nelle proprie difese l’autenticità della sottoscrizione, le spese del giudizio saranno poste ovviamente ad esclusivo carico della parte che avrà incardinato il procedimento.

Passando all’oggetto della verifica, occorre specificare che per scrittura si intende qualsiasi documento redatto per iscritto (anche se con mezzi meccanici e anche se predisposto, in tutto o in parte, da un soggetto terzo) e sottoscritto con firma autografa. Proprio la sottoscrizione è l’elemento che consente di ricondurre il documento al suo autore

La scrittura può, quindi, essere stata redatta di proprio pugno oppure da una terza persona, anche con software di scrittura e, ad esempio, rientrano tra le scritture private i prestampati che le imprese fanno sottoscrivere ai propri clienti. Infatti, benché il contenuto sia stato interamente predisposto da un altro soggetto, la sottoscrizione apposta in calce rende direttamente riferibile al firmatario l’intero contenuto, come se l’avesse integralmente scritto lui.

È opinione pacifica, in dottrina e giurisprudenza, quella per la quale l’onere del disconoscimento e l’istanza di verificazione non possono avere ad oggetto le scritture private che non siano munite di sottoscrizione (Cass. Civ. 3730/2013; Cass. Civ. 15949/2004), la valutazione delle quali è dunque rimessa al libero apprezzamento del giudice ai sensi dell’art. 116 (Cass. Civ. 1935/1985).

La verificazione è, quindi, destinata ad attribuire alla scrittura ed alla sua sottoscrizione il valore probatorio messo in dubbio dal disconoscimento del presunto autore e ne è corollario la norma di cui all’art. 2702 c.c., per la quale, se il presunto autore ne riconosce l’originalità, la scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta.

In pratica, contro una scrittura privata è possibile difendersi disconoscendone espressamente la sottoscrizione ottenendo così di poter provvisoriamente invalidare il contenuto dell’atto che una parte oppone all’altra, o meglio di sospenderne la valenza probatoria.

La verificazione della scrittura privata, al contrario, è l’antidoto contro il suo disconoscimento: con essa, infatti, la parte che ne ha interesse cerca di “riabilitare” l’atto dimostrando che la sottoscrizione ed il documento sono riconducibili alla parte che l’ha disconosciuta.

Sotto l’aspetto processuale, occorre considerare le opposte posizioni del soggetto che disconosca la sottoscrizione e di quello che invece intenda avvalersene.

Per consolidata giurisprudenza, il disconoscimento è una eccezione in senso proprio ed è, pertanto, soggetta alla disciplina delle preclusioni di cui all’art. 215 c.p.c; quindi esso deve essere chiaramente espresso e formalizzato nella prima udienza o nella prima difesa successiva alla produzione; alla luce della disciplina emergenziale delle udienze in modalità “figurata” si deve quindi ritenere che il disconoscimento debba essere formulato nelle note da depositarsi almeno cinque giorni prima dell’udienza.

Parallelamente, anche l’eccezione relativa alla tardività del disconoscimento è un eccezione in senso proprio e, quindi, non è rilevabile d’ufficio dal giudice ma deve essere sollevata dalla parte che avrà prodotto il documento oggetto del disconoscimento tardivo (Cass. Civ. 10147/2011; Cass. Civ. 9994/2003).

Supponiamo, quindi, che il soggetto presunto sottoscrittore del documento abbia tempestivamente sollevato l’eccezione di disconoscimento. A questo punto, a suo carico non v’è ulteriore attività che debba esser svolta. Infatti, toccherà alla controparte procedere, tempestivamente, al deposito dell’istanza di verificazione nella prima difesa successiva.

Nell’ipotesi che il documento sia stato prodotto con l’atto introduttivo del giudizio, e che il convenuto abbia svolto la propria eccezione nella comparsa di costituzione risposta, sarà quindi opportuno che l’attore proceda al deposito dell’istanza di verificazione, o con le note d’udienza “figurata”, oppure mediante il deposito telematico prima della prima udienza di comparizione, così da porre il Giudice in condizione di conoscere le intenzioni di entrambe le parti già in occasione della prima udienza.

Per ordine del fascicolo, trattandosi di un procedimento incidentale, pare preferibile introdurre il giudizio di verificazione con apposito atto, separato dalle altre difese nel procedimento principale.

Tuttavia, è opportuno segnalare che non mancano pronunce che hanno ritenuto ammissibile, e non tardiva, l’istanza di verificazione anche se formulata successivamente e, in particolare, questi Giudici hanno stabilito che essa può anche esser utilmente introdotta entro il termine perentorio previsto per tutte le altre istanze istruttorie e, quindi, nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. (Cass. Civ. 16915/2011; Cass. Civ. 2411/2005). In ogni caso, onde non correre il rischio che il giudice adito non sposi questa linea e comunque per non complicarsi la vita, è sempre consigliabile proporla immediatamente a seguito dell’eccezione di disconoscimento e con deposito di un atto separato specificamente diretto ad invocare la verificazione.

All’atto della proposizione dell’istanza, la parte ha l’onere di offrire al Giudice i mezzi di prova (ad esempio un testimone che abbia assistito alla sottoscrizione) e producendo, o indicando, le scritture che ritiene utili per la comparazione grafologica.

Tali documenti potranno avere diverso peso nella valutazione a seconda che si tratti di altre scritture private la cui sottoscrizione sia certa (perché già riconosciuta ovvero accertata con sentenza), oppure, ad esempio, che si tratti di atti pubblici nei quali l’autenticità è certificata dal Notaio rogante, o, ad esempio, la firma sulla carta d’identità, che è certificata dal delegato del Sindaco.

Nel caso degli atti pubblici sarà utile indicare il Notaio presso il quale l’atto fu rogato e che pertanto ne conserva l’originale nel proprio archivio.

Occorre precisare, per completezza, che l’art. 216 Cass. Civ. non prevede sanzioni di inammissibilità o nullità dell’istanza di verificazione per il caso della mancata produzione di prove o di documenti per la comparazione e, quindi, se ne desume che esse non siano indispensabili, anche perché le prove utili all’accertamento potrebbero, in ogni caso, emergere dagli atti del giudizio, senza bisogno del compimento di ulteriori attività istruttorie (Cass. Civ. 9523/2007; Cass. Civ. 890/2003).

Nel caso in cui il documento contenente la scrittura privata oggetto del disconoscimento sia stato prodotto in fotocopia, la parte che intenda avvalersene, sarà tenuta a produrne l’originale ai fini della verificazione (Cass. Civ. 24306/2017) ma se il documento originale non fosse in suo possesso, bensì nelle mani dell’avversario, l’istante per la verificazione dovrà chiedere al Giudice l’emissione dell’ordine di esibizione e, se tale ordine non dovesse essere adempiuto, l’esame peritale sarà svolto sulla fotocopia e la parte inadempiente non potrà eccepire in appello la nullità dell’elaborato peritale per essere stata sottoposta all’indagine la sola fotocopia, poiché si tratterebbe di una nullità relativa la cui denunzia è preclusa dall’avervi dato causa (Cass. Civ. 20884/2020).

Ai sensi dell’art. 217 Cass. Civ., il Giudice dispone le cautele per la custodia del documento ed il deposito in cancelleria e, quindi, nomina il consulente tecnico esperto in grafologia e, se e quando occorre, provvede all’ammissione degli altri mezzi di prova che egli ritenga utili per l’accertamento (Cass. Civ. 12695/18).

Il giudice, comunque, non è obbligato a nominare il consulente e la nomina è rimessa alla sua discrezionalità (Cass. Civ. 1282/2003); infatti, la consulenza tecnica grafologica non è un mezzo istruttorio primario ed imprescindibile (Cass. Civ. 8881/2005; Cass. Civ. 3009/2002; anche se di recente contra, Cass. Civ. 2579/2009), il giudice infatti può farne a meno qualora ritenga sufficienti gli altri elementi di prova che le parti gli abbiano offerto e possa, quindi, desumere la veridicità del documento dalla sua comparazione con altre scritture certamente originali e ritualmente acquisite al processo (Cass. Civ. 887/2018). Inoltre, il giudice non è vincolato ad alcuna graduatoria di priorità nel provvedere all’ammissione delle altre prove (Cass. Civ. 29542/2019; Cass. Civ. 6460/2019; Cass. Civ. 15686/2015) e, quindi, potrà rinviare l’esperimento grafologico successivamente all’assunzione delle altre prove, dalle quali potrebbe ricavare gli elementi idonei a rendere superflua la CTU grafologica.

Il giudice è anche libero nello scegliere le scritture di comparazione tra quelle offerte dalla parte ma, in mancanza di accordo delle parti sui documenti comparativi, egli sarà vincolato a ritenere idonee alla comparazione soltanto quella scritture la cui autenticità sia stata previamente riconosciuta in via giudiziale, per autenticazione stragiudiziale (App. Napoli 30.6.2005), per riconoscimento espresso, o tacito nel caso in cui non ne sia mai stata contestata l’autenticità.

Qualora il consulente si sia avvalso di scritture di comparazione non preventivamente indicate dal giudice, ed in mancanza di accordo tra le parti, la nullità della consulenza dovrà necessariamente essere rilevata dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al deposito della consulenza (Cass. Civ. 23851/2011; Cass. Civ. 3009/2002).

L’art. 218 Cass. Civ. non pare presentare elementi di particolare difficoltà interpretativa ed attuativa poiché si limita ad autorizzare il Giudice a richiedere ai soggetti terzi di depositare in cancelleria i documenti di comparazione che giacciano presso depositari pubblici o privati e, in caso l’asporto non sia concesso dalle norme, il giudice provvederà a disporne l’esame presso il depositario, autorizzando a tal uopo il CTU.

L’art. 219 Cass. Civ. prevede che il Giudice ordini alla parte di scrivere sotto dettatura alla presenza del consulente e, così, si crea una situazione che può rasentare il comico poiché la parte, alla quale sia stato ordinato di scrivere, normalmente farà di tutto per vergare delle firme del tutto diverse da quella oggetto della verificazione .. in tal caso, solo l’esperienza e l’astuzia del CTU potranno risolvere la situazione impartendogli precisi ordini di scrittura e giungendo, sostanzialmente, a costringerla a fare una firma il più possibile naturale, nella sua interezza o nei suoi singoli elementi.

Tale ipotesi dovrà comunque esser prevista dal Giudice nell’ordinanza ammissiva dell’esame grafologico.

Ovviamente, se la parte dovesse rifiutarsi di scrivere sotto dettatura o non dovesse addirittura presentarsi all’esame peritale, la scrittura potrà ritenersi riconosciuta, con evidente parallelismo rispetto a quanto accade in caso di mancata comparizione all’interpello.

L’art. 220 Cass. Civ. stabilisce che sia sempre il Collegio a pronunciarsi sulla verificazione, ma il termine “collegio“, tuttavia merita segnalare che tale termine è stato impropriamente conservato dal legislatore pur a seguito della riforma del 1998 e, quindi, deve essere inteso come organo giudicante, sia in composizione monocratica che collegiale, a seconda della materia trattata, infatti, Il giudizio di verificazione non rientra tra le cause che l’art. 50 bis cpc ha riservato al tribunale in composizione collegiale.

Quando l’incidente di verificazione insorga davanti al giudice di pace, la regola di competenza resta identica, in forza dei rinvii di cui all’art. 281 bis e 311 c.p.c., e, quindi, il giudice di pace non può rimettere la decisione sull’incidente al tribunale in composizione collegiale invocando l’art. 220 c.p.c., poiché questo non esprime una regola di competenza. (Cass. Civ. 5929/2012).

La sentenza, a prescindere che si tratti di procedimento principale o incidentale, che si concluda con l’accertamento dell’autenticità della scrittura o della sottoscrizione, conferisce al documento l’efficacia probatoria privilegiata di cui all’art. 2702 c.c. (Cass. Civ. 11674/2008) ed il giudice avrà anche la facoltà di condannare la parte, che avendo disconosciuto la propria scrittura o sottoscrizione, abbia negato l’autenticità del documento, ad una pena pecuniaria che è prevista dalla norma. Tale pena, nel caso in cui la parte disconosca una firma poi risultata effettivamente propria, non pare tuttavia idonea ad indurla al riconoscimento nel timore della sanzione economica, poiché essa va da 2 a 20 euro.

Tuttavia, assai più suggestivo potrebbe essere il timore di subire la condanna per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c. che la Cassazione ha ritenuto ammissibile (Cass. Civ. 163/1989).

Invece, nel caso di esito negativo del procedimento di verificazione, la pronuncia si limita a dichiarare la non riferibilità del documento al presunto sottoscrittore (non la falsità) privando il documento così di qualsivoglia efficacia probatoria e rendendolo, dunque, inutilizzabile, con la conseguenza che esso non potrà neanche essere liberamente apprezzato dal giudice.

Infine, con riguardo al valore probatorio dell’esito del giudizio di verificazione, si segnalano due pronunce della S.C. che paiono meritevoli di attenzione:

In tema di verifica dell’autenticità della scrittura privata, la limitata consistenza probatoria della consulenza grafologica, non suscettiva di conclusioni obiettivamente ed assolutamente certe, esige non solo che il giudice fornisca un’adeguata giustificazione del proprio convincimento in ordine alla condivisibilità delle conclusioni raggiunte dal consulente, ma anche che egli valuti l’autenticità della sottoscrizione dell’atto, eventualmente ritenuta dalla consulenza, anche in correlazione a tutti gli altri elementi concreti sottoposti al suo esame.(Cass. Civ. n. 2579/2009)

Il giudice del merito, benché abbia disposto la consulenza grafica per verificare l’autografia di una scrittura disconosciuta, se l’indagine esperita non è giunta a risultati del tutto rassicuranti, ha il potere-dovere di formare il proprio convincimento sulla base di qualsiasi elemento di prova obiettivamente conferente, quali la prova testimoniale, le presunzioni semplici, comprese quelle desunte da fatti acquisiti a mezzo prova testimoniale, il comportamento processuale delle parti, senza essere vincolato ad alcuna graduatoria tra le varie fonti di accertamento della verità. (Cass. Civ. n. 14227/1999)

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Avv. Mauro Manassero